Insopprimibili vizi: il palpito dell’esistenza “fuori” dall’ordinario sentire

2 maggio 2005
di Maria Luisa Salvadori su Fabruaria

Laura RicciInsopprimibili vizi è il titolo del romanzo di Laura Ricci con cui, nello scorso dicembre, l’editore romano Marotta ha voluto inaugurare la nuova collana “Fuori”. Due sono i vizi che per l’autrice si danno come insopprimibili: l’amore per la vita, che poi è amore per l’amore!, e quello per la lettura/scrittura, due vizi percepiti come intimamente fusi l’uno all’altro e fusi in modo pressoché congenito, dunque naturale, oggettivo, innegabile. Il termine insopprimibile evoca la spinta inequivocabile di una pre-potenza quasi iscritta nel codice genetico, come l’energia di un DNA obbligato a manifestarsi. Non la si può disattendere senza uccidere qualcosa di essenziale alla vita stessa.

“Mi emozionano le tue emozioni”, afferma a un certo punto la voce protagonista femminile che racconta l’innamoramento. La frase si presta ad essere riscelta come attributo estensibile a ogni pagina del libro. Il romanzo viene facendosi al ritmo di un abile e inconsueto collage di racconti, al fine ricomposti in una straordinaria storia d’amore: tutti, nessuno escluso, portano in dono un alto gradiente di risonanza, svegliano sensibilità e memorie, accendono emozioni, nostalgie e nuova voglia di vita. Dispensano gocce essenziali di desiderio, generose essenze estratte, e prima ancora decriptate, dal succo di normali sequenze di quotidianità. Esposte alla reattività totale dell’autrice, le “piccole” cose di ogni giorno trasudano un distillato di straordinarietà e magia. Quanto più semplice e naturale è lo scorrere degli eventi, tanto più si fa eccezionale e nuovo il senso che l’anima sperimenta in essi. Per dirla nello spirito della nuova collana editoriale, Laura Ricci vive il palpito dell’esistenza “fuori” dall’ordinario sentire. La sua scrittura si offre a chi legge come occasione delicata e impietosa per cominciare a intravedere in ogni istante della vita reale l’eccezionalità della vita intimamente possibile, per imparare a gustare in ogni momento e ad ogni età “il frutto carnoso degli anni, tutti i fieli e i mieli che ha ammassato il tempo”. Il film dell’esistenza non è necessariamente un documentario in bianco e nero. L’arte della nostra regia può giovarsi di un’ infinita gamma di colori e tonalità, purché l’obiettivo della telecamera si apra a filmare strati di “realtà” diversi, registri la colonna sonora che il nostro sentire, finalmente autorizzato a espandersi in ampi respiri, va comunque componendo a suo modo.

C’è cultura nel romanzo di Laura Ricci, una scrittrice che intreccia nel suo lavoro più linee di ricerca, che ama misurarsi con diverse pratiche di coscienza e conoscenza. Intanto, ogni pagina esprime l’intimo desiderio dell’autrice, e la sua personale capacità di coltivare attraverso la scrittura un approccio alla vita di tipo integrale, intriso in pari misura di ragione e sentimento. È la cultura del corpo – sensi, mente e cuore – recuperato alla gamma totale di quanto attraverso di esso può essere registrato, assorbito, filtrato, trasformato, e comunque amato. Il “corpo”, poi, ricava molto della sua identità dalla linea di genere femminile. La madre, la figlia e la figlia della figlia… dalla catena sessuata di memorie, immagini, sogni ed esperienze, sembra possibile derivare il senso dell’odierna autorevolezza, radicare a tutto tondo il proprio essere e divenire donna, il timbro caldo di ogni relazione possibile nell’oggi di oggi. Non di meno nel romanzo si avverte un retroterra di letture, un know how di cultura umanistico-letteraria che si rimodula, ad esempio, tra il rischio dell’avventura interiore alla Emily Dickinson, lo slalom della memoria in frammenti di vita alla Virginia Woolf, l’esistenzialismo passionale e lucido, riflessivo, poetico e visionario, alla Clarice Lispector – per altro ripresa in abili intarsi di testo -.

Nella nota biografica dell’ultima pagina si legge a ragione che questo è “il primo libro” della seconda vita di Laura Ricci. Di fatto, l’autrice sceglie di abitare una terra di confine, fertile all’esperienza e gravida di passione per la scrittura, in cui è sempre possibile nascere a qualcosa di nuovo.