Abitare i desideri. Da Letterate Magazine un resoconto sulle Residenze Estive di Duino 2018

Di Laura Ricci da Letterate Magazine

Il tema stimolante e ricco di declinazioni dell’edizione 2018 di “Residenze Estive – Incontri residenziali di poesia e letteratura a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia” ideato e coordinato da Gabriella Musetti a Duino, era “Abitare i nostri desideri”. Questa XIX edizione si è svolta dal 27 giugno al 2 luglio, come ormai accade da tempo nel bellissimo Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico, toccando, per le letture con musica serali, Trieste, San Pelagio, Visogliano, Cervignano del Friuli. Il tema “Abitare i nostri desideri”, ha visto avvicendarsi relatrici e relatori di varia esperienza e provenienza negli interventi seminariali del mattino, che hanno suscitato una fertile discussione tra il pubblico: le persone che partecipano stanzialmente alle residenze, ma anche coloro che desiderano partecipare agli incontri.

Come è noto, infatti, la formula caratterizzante che negli anni Residenze estive ha progettato, è quella di creare confronto e scambio tra i residenti che condividono momenti culturali di vario genere e spazi della vita quotidiana, senza escludere chi, pur senza risiedere al Collegio di Duino, partecipa ai seminari e agli altri appuntamenti. A chi partecipa non interessano i riflettori mediatici, quanto piuttosto la possibilità di abitare un tempo lento e disteso, proficuo per il confronto e la relazione: si vive insieme, ci si organizza e ci si aiuta per le piccole incombenze quotidiane, si condividono e si discutono momenti culturali, si porge senza protagonismi la propria poesia in performance più formali, ci si confronta sul proprio lavoro di ricerca e su altri temi in discussioni pomeridiane più informali. Un’idea e una pratica vincenti, se l’originale iniziativa si avvia verso i venti anni di esistenza e attività.

Fulcro dei cinque giorni di residenza sono i seminari mattutini, che in questa edizione volta a interrogare i desideri e a osservarne le trasformazioni, hanno messo al centro la precarietà nella società occidentale contemporanea, attanagliata da paure, disagio e violenze, e dunque la necessità di ridisegnare quella smodatezza e quello slancio verticale del desiderio che dalla generazione del Sessantotto e degli anni Settanta, davvero vicina al significato etimologico del termine – de-sidera, slancio verticale dall’alto – sembra oggi passare a un movimento che si configura piuttosto come un’inclinazione orizzontale verso l’altrove e l’altruità, più misurata e ancorata al presente piuttosto che proiettata in un incerto futuro, ma colma della necessità dell’agire instaurando relazione.

I seminari si sono aperti giovedì 27 giugno con Luisa Accati, che intervenendo su “Disagi e desideri della civiltà”, ha posto l’accento sulla differenza della condizione delle donne nel sud dell’Europa rispetto al Nord dell’Europa e agli Stati Uniti: si vuole conoscere il contesto in cui si opera per influire positivamente su disagi e malessere, primi tra tutti la violenza di genere esercitata sulle donne, il perturbante spettro delle migrazioni dal sud e dall’est del mondo e lo sfruttamento del lavoro dei migranti. Per quanto riguarda la violenza di genere e, più in generale, l’occultamento e la svalutazione del simbolico femminile, il fenomeno esiste sia nel sud che nel nord dell’Europa, ma i modi della repressione sono diversi e ciò si deve, ha detto Accati da storica, al crinale segnato dal Concilio di Trento e alle successive differenziazioni tra mondo cattolico e mondo riformato. In entrambe le società diventa fondamentale il matrimonio, ma mentre nel mondo riformato la moglie rappresenta in certo senso una protesi dell’uomo, funzionale al suo successo sociale, nel mondo cattolico viene relegata soprattutto al suo ruolo di madre, determinando anche una dipendenza infantile dell’uomo da questa simbolizzazione, sia verso la madre, sia verso la moglie, che altro non rappresenterebbe se non una madre accessibile sessualmente. Rendersi consapevoli di tutto questo è determinante per affrontare il problema e in special modo nell’educazione.
Sul tema del desiderio è intervenuto ampiamente, nella sua relazione, Gian Andrea Franchi, che oltre a definirlo come un ineludibile impulso vitale – senza desiderio non c’è vita –  ha messo in evidenza come dallo slancio del de-sidera e dalla tensione verso il futuro del Sessantotto, si sia passati, nella società occidentale, all’implosione del desiderio in nostalgia e paura, e come i portatori di desiderio appaiano, oggi, quei migranti che, pur legandolo a bisogni più elementari, ne fanno una pulsione per il riconoscimento del loro diritto alla vita e della loro dignità. Ma il successivo dibattito ha evidenziato come da questa analisi esuli, tuttavia, il movimento delle donne che, pur tra il mutare del pensiero e delle forme nei vari passaggi generazionali, non ha mai manifestato atteggiamenti nostalgici e continua a mettere al mondo, partendo dall’immediatezza del presente, una tensione verso il futuro.
Un altro aspetto del desiderio è la tensione costitutiva fra l’io e l’altro, un movimento dinamico che implica la relazione con altri e altre; e questo è stato ben evidente nell’intervento di Ornella Cioni ed Elvira Federici, “Desiderio, relazione, valore delle donne”, che presentando l’attività e le finalità de “Il Filo di Eloisa. Associazione culturale Eloisa Manciati” di Orvieto, ha mostrato come da una mancanza e dal bisogno di elaborare un lutto sia nato, nel nome della gratitudine per una donna, quel desiderio che ha indotto alcune donne e alcuni uomini a mettere insieme il proprio operare per continuare a tessere il filo di pensiero culturale e di relazioni intergenerazionali e multiculturali avviate dal suo agire.

Questi temi sono stati ulteriormente approfonditi il giorno successivo con le relazioni di Luisa Ricaldone, “Mettere in parola l’esperienza”, Gisella Modica, “La politica del desiderio” e Marina Giovannelli con Helen Brunner, “Prove di sorellanza”.

Ricaldone ha parlato della sua esperienza all’interno del Concorso Lingua Madre, rivolto alle storie di donne migranti che mettono al centro, a partire da sé, la propria esperienza, dalle motivazioni dell’esilio dal proprio paese di origine, ai campi profughi, ai passaggi e ai cambiamenti nel nuovo paese di approdo. Storie che rendono conto del desiderio di vivere, in nuovi contesti, la propria vita e la propria soggettività, e anche di quello di trasmetterla e di scriverne connettendosi a un tessuto relazionale. A un “noi”, ha messo in evidenza Luciana Tavernini nella discussione finale, che non può prescindere dal contesto relazionale e dal rapporto duale, dalla storia vivente e dall’ascolto reciproco prima dello scrivere.

Gisella Modica, partendo da un episodio vissuto personalmente nel 1977 e analizzato e ampliato in profondità nel suo libro Come voci in balia del vento. Un viaggio nel tempo tra storia personale e storie collettive (Iacobelli, 2018), ha toccato aspetti nodali della politica del desiderio, secondo la concezione espressa da Luisa Muraro nel saggio Al mercato della felicità. La forza irrinunciabile del desiderio (Mondadori, 2009). Intervistando le donne che avevano lottato in Sicilia nel movimento contadino occupando i latifondi e contrastando, senza successo, il patto agrario-mafioso, Modica si è resa conto che queste donne avevano messo in gioco non tanto la speranza di una riuscita che sapevano pressoché impossibile, quanto quella forza irrinunciabile di un desiderio sproporzionato che, senza ritrarsi di fronte alla difficoltà del reale, lo mette comunque alla prova, approfittando della differenza sessuale e di un mercato elementare che viene prima del mercato del profitto. E di fronte all’incommensurabile forza del desiderio, non è la riuscita che conta, ma quello slancio che tuttavia, come ha evidenziato il dibattito, sembra nel tempo aver cambiato traiettoria.

Marina Giovannelli e Helen Brunner, a partire dal libro Variazioni sulle sorelle di Marina Giovannelli (Iacobelli, 2017), hanno invece toccato il tema della sorellanza, dalle sorelle di sangue a quelle d’elezione, indagando in una relazione complessa, molto dibattuta anche negli anni più caldi del movimento femminista e che non esclude il conflitto. Non negativo di per sé e portatore della possibilità del confronto e del cambiamento, purché non generi distruttività.

La discussione su questi e su nuovi temi è continuata in modo appassionante e produttivo nelle giornate successive. La mattinata del 30 giugno è stata scandita dalle relazioni di Donatella Franchi, “Un’esperienza di arte relazionale: cucire e tessere relazioni”, di Serenella Gatti Linares e Paola Elia Cimatti, “Mettere su carta i propri desideri”, e di Piera Mattei, editrice di Gattomerlino, sulla genesi del recente volume La mia ombra è un leone danzante di Laura Corbu (Gattomerlino, 2018). La riflessione e la discussione hanno investito il campo della creatività femminile, intesa come un ambito di connessioni e di tessitura di relazioni.
La recente esperienza di arte relazionale a cui ha fatto riferimento Donatella Franchi – Riparare le relazioni, Tessere relazioni è arte – che ha prodotto un’installazione a Bologna e un volumetto collettaneo di pensieri, è riferita a un tipo di pratica artistica in cui Franchi ha sempre creduto, inaugurata durante il femminismo degli anni Settanta. Oggi come allora, nel filo di creatività relazionale che da molti anni Franchi tesse in varie forme, l’energia della creazione convive con l’energia dei rapporti e la creatività si configura come una pratica che travalica i confini e fa dialogare arte e politica, intesa come politica del desiderio.

Serenella Gatti Linares e Paola Elia Cimatti hanno invece parlato dell’esperienza bolognese del Gruppo ’98 Poesia, che ha prodotto recentemente un secondo volume antologico, In dialogo. Vent’anni di poesia 1998-2018, (Qudu editore 2018). Le donne del Gruppo ’98 Poesia lavorano da anni in forma laboratoriale, in un progetto collettivo in cui si inseriscono, in relazione con le altre, le singole: “Inesausti corpi al lavoro – scrivono le donne del gruppo – capaci di costruire una silloge plurale dove l’impuntura delle singole voci si distingue per poi combaciare, ancora, con un più grande progetto collettivo. Una sinfonia attenta alla gratitudine verso le altre donne, arrivate prima, in cui intravvedere una genealogia critica di scritture e consonanze”.

Piera Mattei ha raccontato l’esperienza della sua relazione duale con Laura Corbu, giovane ragazza sarda, in un contesto produttivo di disparità in cui l’editrice, esercitando gradatamente una funzione maieutica, ha orientato la giovane autrice a narrare in forma asciutta la sua esperienza di disagio e di malattia mentale in La mia ombra è un leone danzante. Il libro realizza dunque un duplice desiderio: quello dell’autrice di essere ascoltata e apprezzata per la qualità della sua scrittura, e quello dell’editrice che si scopre capace di una funzione maieutica.

A partire dalle relazioni, non poteva non svilupparsi un proficuo dibattito sui modi e sulle funzioni della creatività e della scrittura, sia in senso terapeutico che in senso di confronto collettivo. Si è così discusso su quella particolare funzione nella relazione creativa che è stata definita “critica affettiva”, un reciproco editing in certo senso, che pur esercitandosi in un gruppo non esclude mai, come ha fatto notare ancora una volta Tavernini, la relazione duale, una soggettività che è sempre e comunque a confronto con un tu.

Il tema della relazione è stato ampliato da Tavernini, insieme ad altri aspetti, nella sua relazione della giornata conclusiva del 1° luglio, “La libertà che c’è: come le donne se la riconoscono e la fanno crescere”. Ribadendo i punti nodali cari alla Libreria delle donne di Milano e la necessità di tenere vivo il tema mai abbastanza esplorato del legame con la madre, Luciana Tavernini, a partire dal libro Mia madre femminista. Voci da una rivoluzione che continua (Il Poligrafo, Padova 2015), da lei curato insieme a Adriana Santini, ha tra l’altro parlato di recenti lavori di ricerca di giovani studiose e cineaste, mettendo in luce pratiche e riflessioni del femminismo della libertà che ci aiutano a leggere la contemporaneità e mostrando un filmato realizzato da una giovane donna che coglie, e potremmo dire raccoglie, gli esiti di una rivoluzione femminista che non cessa di trasmettersi e dare, nel presente, i suoi frutti.

Le relazioni successive hanno poi messo a confronto, nel percorrere e nel cercare di definire il desiderio, due diverse concezioni psico-analitiche, una freudiana-lacaniana nell’intervento di Cecilia Randich – “Nell’epoca del consumo indistinto di beni e delle cure, vale la pena, ancora oggi scommettere sui sogni, fonte inesauribile dei desideri più reconditi?” – e una bioniana nell’intervento conclusivo di Gianna Candolo, “Abitare i nostri desideri, oggi”.
Se riconoscere e mettere al lavoro il desiderio è, per Randich, l’antidoto più efficace contro uno dei malesseri contemporanei più diffusi, quello della depressione che si manifesta con prevalenza femminile, Candolo, raffrontandosi con la sua esperienza terapeutica, afferma di avere difficoltà oggi a rapportarsi allo slancio e alla politica del desiderio come l’ha conosciuto e vissuto negli anni Settanta, perché la storia di quella generazione non serve forse molto alla precarietà del presente avvertita dalle giovani e dai migranti, e che dunque bisogna anche essere capaci di non sovraccaricare con il proprio vissuto l’altro/l’altra e, prestando ascolto, di ritrarsi. Per questo, oggi, forse è più fruttuoso parlare di una politica dell’abitare, del percorrere lentamente la terra imparando a convivere nell’incertezza e nel dubbio.
È dalle pieghe di questi interventi che si è fatto strada, nel dibattito conclusivo, quello che sembra il dato di sintesi della lunga esplorazione del desiderio compiuta in queste giornate: ossia uno spostamento in orizzontale del desiderio, un’inclinazione, un movimento che sceglie di creare ponti, che siano con naufraghi e migranti o con le giovani generazioni, che sembrano abitare e transitare in una dimensione, appunto, di orizzontalità.

Un momento particolare delle Residenze, molto partecipato da parte del folto pubblico esterno, è stato, nella serata del 29 giugno al Tergesteo, la presentazione del libro Artemisia allo specchio. Storie delle mie vite, appena edito da Vita Activa, a cui hanno partecipato, introdotte da una riflessione di Sergia Adamo, l’autrice Angèle Paoli, la traduttrice Anna Tauzzi, l’editor Patrizia Saina e, con la lettura di alcuni brani, Luisa Cividin. Si tratta di un originale e appassionante romanzo sulla vita della pittrice Artemisia Gentileschi, narrata in prima persona dall’artista attraverso l’attraversamento delle sue tele e degli ambienti in cui visse e operò, in un linguaggio emotivamente efficace e, pur nel rispetto della storia, fortemente poetico.

Nel gradimento e nella soddisfazione generali, che si devono al lavoro organizzativo di Gabriella Musetti e alla preziosa collaborazione di molte persone unite da una tela di relazione, non resta che proiettarsi verso la pienezza e la significanza del numero Venti. Alla prossima, augurandoci un’ugualmente splendida edizione.

Per quanto riguarda la creatività poetica, che insieme alle riflessioni seminariali costituisce un elemento forte e costante delle residenze duinesi, se ne è parlato ampiamente negli incontri pomeridiani più informali denominati “Lavori in corso”, in cui poeti, poete e altre persone ihanno condiviso aspetti della loro officina di pensiero e di scrittura. E molta poesia la si è ascoltata, in varie e diverse declinazioni insieme a piacevoli intermezzi musicali, dalla voce di autrici e autori nei luoghi delle serate di lettura coordinate da Alessandro Canzian. Al Caffè degli Specchi di Trieste, con Federico Rossignoli al liuto e le voci poetiche di Alexandra Zambà, Rita Gusso, Loredana Bogliun, Loredana Magazzeni; al Circolo Culturale Sloveno Vigred di San Pelagio, con il “Nuovo Coro” diretto da Margarita Swarczewskaja e le letture di Giorgio Luzzi, Maurizio Benedetti, Marko Kravos, Fulvio Segato, Leila Falà; al Giardino Tergesteo di Trieste, con l’arpa gotica e la voce di Teodora Tommasi e le letture di Luisa Gastaldo e Rodolfo Zucco; nello studio MIMA di Visogliano, con Tullio Taffuri alla chitarra e letture di Serenella Gatti Linares, Roberto Dedenaro, Piera Mattei, Angèle Paoli, Melita Richter; nel Giardino di Casa Di Pascoli a Cervignano del Friuli, con un Concerto del Complesso d’archi del Friuli e del Veneto (Massimo Malaroda, Camilla Freschi, Virginia Freschi violini, Francesco Malaroda violoncello, Guido Freschi violino principale, con la partecipazione del chitarrista Marco Tomasin) e letture di Claudio Grisancich, Laura Ricci, Sandro Pecchiari, Gabriella Musetti, Federico Rossignoli.