Alice James, una sorella comunque eccellente

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L’eccellente sorella è Alice James (1848-1892), ultima e unica femmina di una singolare famiglia americana di pensatori che doveva produrre da subito due grandi personalità: Henry James, il celebre scrittore, e William James, altrettanto eminente filosofo e psicologo. E lei, Alice, sorella meno famosa ma non meno singolare, che riuscì a sfuggire a un destino mai accettato di negazione e di silenzio scrivendo in extremis, a pochi anni dalla morte, il proprio sorprendente pregevolissimo diario (1889-1892).
Nella famiglia James malattia, disagio e sofferenza costituirono sempre un patrimonio comune, quasi una strana risorsa. Il padre, privo di una gamba per un incidente di gioventù, attraversava crisi periodiche di angoscia; William soffriva di disturbi agli occhi e di crisi di panico, Henry delle conseguenze fisiche e psicologiche di una “oscura ferita”; e i due fratelli minori lottavano fra depressione e alcolismo. Tra questa perversa attrazione i quattro giovani James riuscirono comunque a trovare una loro strada di vita.
Quanto ad Alice – alla quale, come donna, erano riservate modeste aspettative – impossibilitata ad adeguarsi al modello maschile cui si sentiva vicina per intelligenza e ambizione, ma d’altra parte rifiutando il destino di angelo del focolare che era stato di sua madre, scelse la soluzione di volgere contro di sé le proprie energie fisiche e mentali, rifugiandosi per anni in incerte malattie soggettive che i medici diagnosticarono progressivamente come “nervosismo”, “gotta reumatica”, “nevrastenia”, “nevrosi spinale”, “isteria”.

Finché, nel maggio 1889, decide di tenere un diario, di registrare, per farne qualcosa di speciale e di superiore – qualcosa segnato dalla “differenza” – il fallimento della sua vita. Per consegnarlo, attraverso la fedele e amata compagna degli ultimi anni, Katharine Loring, alla lettura e alla storia.
Quando comincia a scrivere ha lasciato l’America da cinque anni, per trasferirsi con Katharine in Inghilterra, dove già risiede il fratello Henry. Se la sua condizione di malata le impedisce di andare verso il sociale, sarà il sociale a venire da lei, sotto forma di visite, lettere, libri e giornali. Attenta a tutto quello che accade, Alice sostituisce a un corpo che non vive un corpo-parola, forzando con il suo linguaggio ironico, fisico e iperbolico le restrizioni imposte dalla comunicazione sociale, infrangendo la costrizione vittoriana con l’eccesso della scrittura, per parlare liberamente dei temi che le stanno a cuore: la politica, la condizione delle donne, i modi di vita degli inglesi; e, soprattutto, la morte, con la quale, fin da bambina, ha una lunga consuetudine.
Tutto arriva a chi sa attendere! – scrive, nel diario, il 31 maggio del 1891 – Può darsi che le mie aspirazioni fossero stravaganti, ma oggi non posso lamentarmi che non si siano brillantemente realizzate. Fin da quando mi sono ammalata, ho desiderato con tutte le mie forze una malattia vera, senza curarmi del fatto che potesse avere un nome terribilmente convenzionale… quel gonfiore che da tre mesi mi è spuntato su un seno e che mi fa tanto male è un tumore.”
Da questo momento Alice si prepara, con l’amata Katharine, al grande evento e, nello scriverne, la prima persona singolare lascia il posto alla prima plurale. Quando scrivere le diventa faticoso detta il diario all’amica e, da allora, il suo si fa soprattutto un discorso d’amore, che Katharine fissa di proprio pugno a dire la profondità e l’intensità del sentimento che Alice prova per lei.

Nel 1934 Katharine Loring incoraggiò la pubblicazione ufficiale del diario di Alice, che comparve tuttavia con molti tagli in un volume dedicato ai componenti meno noti della famiglia James. L’edizione integrale uscì nel 1964 a cura di Leon Edel, salutata come uno dei capolavori ignorati della letteratura americana. Pubblicata in Italia nel 1985 da La Tartaruga, con un’illuminante introduzione della sua traduttrice, Maria Antonietta Saracino, è introvabile in commercio, ma può certo reperirsi in alcune biblioteche. O chissà, magari presso amiche patite di diari e della Tartaruga, o presso amici.

M. A. Saracino ci fa tra l’altro notare come, nella seconda metà dell’Ottocento, tanto in America che in Inghilterra, si verifichi una vera esplosione di malattia femminile, che fa dell’invalida permanente una presenza diffusa in famiglie della media e alta borghesia. Nevrastenia e isteria offrono un modello accettato e disponibile nel quale rifugiarsi per donne incapaci di accettare le proprie condizioni di vita. Ma, a differenza della maggior parte di loro, Alice James rende conto a partire da sé e, di questo, scrive.
Con il suo atteggiamento di sfida verso l’ordine sociale, verso la razionalità borghese che allontana da sé la morte come fa con i pazzi e gli anormali, Alice, in realtà, è della vita che grida lo scandalo, rendendo giustizia a infinite altre donne come lei che, non godendo di un cognome famoso, a questo scandalo non sono riuscite a sottrarsi.