di Ornella Cioni, su Leggendaria, n. 73, gennaio 2009
Quando leggo il testo di qualcuno che conosco mi sembra, mentre leggo, di sentire la sua voce e il suono di quella si mescola ai ricordi di situazioni, di frasi , di discorsi scambiati con la persona, a volte molto tempo prima. È la risata squillante di Laura, ironica e irridente, mai aspra, ciò che mi risuona per prima leggendo La strega poeta.
Sul filo sottile di chi ha fatto della rilettura una pratica culturale e politica, l’autrice ci conduce, nella prima parte del testo, tra figure della classicità e della storia suggerendoci capovolgimenti di sguardo per disvelare quanto è “incredibile come l’amore inganni”, quanti siano gli incontri mancati tra uomini e donne nel mito, nella storia, nelle nostre vite. Ma intanto ci offre tracce per percorrere nuove strade e costruisce una genealogia da Penelope, che non più aspetterà tessendo la sua tela, a Giovanna d’Arco, che si ricongiunge alla madre chiedendo abiti da donna al grande inquisitore.
Ci fa intravvedere la speranza di compiere, sorelle e non più nemiche, quella tanto procrastinata gita al faro, ci fa baluginare il miraggio che invece dei mille appuntamenti mancati, uomini e donne, interi e intere, possano scambiare doni, di ritorno ognuno dai propri viaggi.
Una forza nuova va scoprendo la strega poeta di pari passo a una consapevolezza più atroce della vita e dei suoi vincoli temporali “dieci anni fa avrei pianto… ora… composta osservo”.
In re minore ci canta il dolore del mancato incontro, del mancato ascolto, ma nel movimento ripetuto di volgersi indietro alle proprie origini e senza mai staccarsi dal ciclo della natura, che sempre nuovo ritorna, trova risposte a domande esistenziali e strategie di vita. Rintraccia l’origine della propria forza tenace, un padre poco maschile e una bisnonna divinante, misura in sé la stessa forza di una pianta, che ferma si attanaglia al suolo, affonda le radici e succhia la vita.
Anche se fredde stelle e una luna muta sembrano restare insensibili e sorde alle note dondolanti e soavi che innalza nella notte, lei ormai sa che una donna raddoppia le sue forze se vive sola.
Ci conduce con sé tra i ricordi buoni del mondo materno, dove il cotone era cotone, la lana infeltriva e si portavano gli abiti che sfuggivano a sorelle e cugine più grandi. Ci mostra i doni preziosi delle amiche, la sapienza di sopravvivere senza noia con piccole cose fino al disgelo, per rivelarci un altro punto di coagulo nella fatica del vivere quotidiano: rivendicare il diritto di essere gentili. Ma non è questo un atteggiamento facile, richiede anzi di essere disposti a movimenti pericolosi come capriole, acrobazie, danze e l’essere fedeli al “salto mortale dell’interezza”.
La strega poeta ancora più apertamente ci disvela i suoi segreti: è “quella che vuole luccicare in perle iridescenti le briciole, le lacrime in cristalli di splendore”, “è la maga dolorosa delle parole”, “l’esorcista dei segni”, colei che sa che la libertà non è l’oasi, non è il porto. È colei che ha consumato mille passi nel deserto, ha veleggiato pericolosamente nella tempesta e adesso può nominare anche la morte, può chiedere a chi ama di aiutala a morire, perché anche se adesso della morte ha la forza di parlare, sa che quando giungerà “quello sarà silenzio – né più dolore né bellezza”.
La vita però per ora continua e torniamo alle pagine che precedono il testo per rintracciare un ulteriore messaggio.
La vita si manifesta talvolta beffardamente nel disordine o nella magia di un mondo alla rovescia, e per coglier tali epifanie solamente ci possono guidare la saggezza dell’attesa e il saper voltar pagina metaforico e quello reale del ripetuto gesto che accompagna e rinnova l’amata lettura.
Il percorso di ricerca della strega poeta è dedicato alla cara amica Eloisa.