Laura Ricci si fa in quattro nel canzoniere di poesie “D’amore e d’altre minuzie”

da Orvietonews.it

Strutturato come una partitura musicale, D’amore e d’altre minuzie, fresco di stampa per Le Giraffe di Robin Edizioni – “perché le giraffe si nutrono dei fogli più alti” – è il nuovo libro che Laura Ricci affida al pubblico. Un canzoniere intimo e contemporaneo in quattro parti che ripercorre gli amori che sono stati fondamentali nella vita dell’autrice, nella convinzione – espressa in esergo – che, Magris insegna, “Amare è un incancellabile infinito presente“. In 128 pagine, la narrazione poetica si snoda agile in una mescolanza ardita di registri sentimentali e linguistici.

Passione, sensualità, tenerezza, doloroso disincanto, divertimento dissacrante e ironia si alternano con andamento e ritmo sinusoidali, nella consapevolezza che via via che ci si addentra nelle epoche della vita l’amore sempre più muta in un sentire più universale e cosmico. Accanto a quello che nei secoli l’umanità ha cantato e incoronato come il sentimento – offuscato, ostinato, totalizzante – per eccellenza, che “non può e non deve espropriare da una necessaria percezione politica del mondo“, si muove una corte di sogni e bisogni, e di tante altre piccole collettive minuzie.

Ma le “minuzie“, con un’ironia un poco amara, proprio in virtù di quella percezione politica dell’esistere che in Laura Ricci è sempre stata fondamentale, sono anche alcuni noti e tragici accadimenti del mondo che, attraverso versi essenziali e potenti, costellano e scandiscono, in tre diverse parti denominate “Rondò”, il tempo degli amori dell’autrice dalla giovinezza all’età più matura.

Quelle che, con essenziale esattezza cronologica, come trascinante giaculatoria affiancano la vicenda privata d’amore alle inevitabili funeste sciagure del pianeta da scoprire, viaggiando. Dal Bloody Sunday di Derry, nell’Irlanda del Nord, al Colpo di Stato in Cile, dalla Roma de “le conferenze il cinema i musei i cortei” e Via Fani fino a quella strada di Sevilla dove “zingara non richiesta” cantò. Dal prologo all’ouverture che, a dispetto di tutto, arriva alla fine, a conferma che tutto – sì, anche l’amore – è relativo e nulla è per sempre. Unica eccezione, il sentire di chi sa farlo.

In definitiva, nonostante il dubbio ripetutamente espresso – “Avrà senso parlare gioire soffrire / d’amore? mentre amavo mentre amo / mentre scrivo lava lapilli sangue morte / violenze dolore / Non ha senso – forse – parlare gioire soffrire / d’amore” – sembrerebbe invece che proprio parlare, gioire e soffrire d’amore non solo ha un senso riposto e profondo – l’unico, forse, che può medicare le sofferenze più collettive e ineludibili del vivere – ma che può sublimarsi e allargarsi, nel tempo che ci è dato vivere, in un sentimento di pietas e di empatia per l’intero creato, così da accompagnarci verso l’inevitabile distacco dal mondo nella coscienza non di un angoscioso dramma, ma di un eterno trasformarsi e fluire. Quasi un fare ordine nell’esistenza che si è consumata, questo intenso canzoniere di Laura Ricci, e un testamento poetico che tuttavia non chiude, ma apre  ad altro che potrà ancora accadere, all’alterità e all’altrove.