Scrivendo “su fogli arancioni” Alessio Brandolini conferma l’appassionato impegno civile

10 ottobre 2010 per Orvietonews.it

alessio brandoliniScrivendo “su fogli arancioni”, come suggerisce nel bellissimo incipit del suo ultimo libro, Alessio Brandolini torna ad affermarsi, nel panorama della poesia italiana contemporanea, come autore dall’appassionato e originale impegno civile. Il suo ultimo lavoro Il fiume nel mare, che si è recentemente distinto per il posto d’onore al XXIII Premio letterario Camaiore, conferma quel singolare percorso di tracce e segni che, di libro in libro, ogni volta rimandando al volume precedente, continua e approfondisce una ricerca che, giusto come un vasto sinuoso fiume, tende a guadagnare la vastità catartica del mare, l’ampio liquido spazio in cui il dolore del vivere, non sempre con successo, prova a fluidificare e ad allentarsi.
È sul filo di questa traccia di rimandi che la Roma brandoliniana dei versi di Tevere in fiamme si fa qui più universale e indefinita, che il fiume, delocalizzandosi, diventa flusso universale, archetipo dell’inesorabile faticoso scorrere di ogni vita: non solo umana, ma animale, vegetale, stellare.

Scrivere poesia è, nella nostra epoca, civile di per sé: ci vuole coraggio, nella volgarità di questo inizio di secondo millennio che incombe, a lavorare di cesello con la parola, e ancora più coraggioso e contro corrente appare, nella superficialità che imperversa, l’atto dello scavo e dell’approfondimento. Ma la passione civile di Brandolini ha dalla sua un mordente in più, deciso, intenzionale e ben definito: la capacità di coniugare, con lucida impietosa tensione, la contraddizione costante tra il richiamo dell’altrove – cosmico o sociale che sia – e il quotidiano, l’ansia verso l’assoluto e la pulsione verso il grido di dolore che sembra provenire da tutti gli elementi del creato:

Tornare a casa sdraiati in un vortice di pensieri
in un silenzio stonato che si blocca a mezz’aria
non è un gioco da ragazzi, né un giorno festivo.
Elettrico emisfero che altera prospettive e ricordi
nutre la voglia di riscatto e l’esca che s’aspetta
è lo squarcio lunare, il grido soffocato del destino.

Nella stanza accanto però ci sono i figli
che giocano nel sonno
e io con loro sono un cucciolo di lupo
in cerca d’affetto, in cerca d’una madre.

Tra il sollievo, raro e intermittente, di giornate di luce familiare, di ricordi buoni dell’infanzia e della terra, di schiocchi focosi e accecanti che, dopo l’esaltazione, lasciano l’amaro in bocca, tra il grido dei nuovi sanguinanti pellegrini d’Europa – clandestini e meticci – tra “corpi galleggianti in attesa di scivolare a fondo” e “mani vuote d’appigli”, il fiume poco riesce a fare per sottrarre al “male inconsapevole” i suoi figli, per proteggerli “dall’aridità dei giorni e dal piombo rosso”.
Il richiamo di Brandolini alla sua opera poetica precedente – Il male inconsapevole appunto – diventa esplicito e, del male inconsapevole, questo suo ultimo lavoro ripropone, in modo forse ancora più scabro e spietato, i segni simbolo del dolore mutuati dalla passione di Cristo: rovi, tagli, chiodi, croce, lacerazione del costato, filo spinato. Ma anche, di quella passione, il valore di redenzione e di riscatto, il passaggio dal fiume angusto alla vastità purificatrice del mare:

A mezzanotte ho acceso dodici candele
sul davanzale della finestra della mia piccola
stanza. Segno con l’ombra ogni respiro
esterno, ogni passaggio: gente senza una
casa, alberi ondeggianti e animali in fuga
dalle luci, dai rumori. Esco a donargli il
pane, la frutta del mio giardino.
Passo la freccia da parte a parte: buco
i piedi, il costato, la gola, il collo, le
tempie, le mani.
Nel frattempo colano i pensieri e il sangue
resta rappreso: materia inossidabile da
scalfire con la ruggine dei chiodi, del filo
spinato dei Centri di identificazione ed
espulsione.
Allontanare il male e spartire con tutti
quel poco di bene avuto in eredità.
……………………………………………………..
Allora provo a benedirla questa stupida
demenza con gli zampilli d’acqua
benedetta, così nella notte i bagliori di
luna, di stelle si trasformano in pietre
leggere, in zattere di foglie che lentamente
ci trascinano via dalle guerre e dai recinti.
Costruisco con paglia e fango una canoa
sottile e con quella vado lesto dal Tevere
al Tirreno.

Accanto ai simboli del dolore, a lingue di fiamme, da immagini di freddo classicismo emergono, nel fiume, braccia e pezzi di statue, di gesso e di marmo: forse l’ineluttabile, insopportabile indifferenza della storia.

Poesia dura e spietata dunque, questa dell’ultimo lavoro di Brandolini, scabra e anti lirica, di netta e chiara denuncia, in cui la salvezza si prefigura nel difficile viaggio attraverso i flutti del mare. Salvi, come il poeta scrive, se si nuota nella notte, se non si cede alla stanchezza, se le onde non spingono nella liquida tomba; se non è troppo distante la costa: condizione dell’esule che attraversa il Mediterraneo verso l’Italia, metafora del faticoso esilio della vita, della solitudine di ogni ardua ricerca.
La stessa solitudine che caratterizza il lavoro rigoroso della scrittura, la rincorsa dell’ossessivo manifestarsi della malìa imperiosa del verso, l’osservazione distante e esatta, la traccia controcorrente – demistificatrice – delle mappe:

Per giorni annusiamo il profumo
rincorso per oltre trent’anni
e allora ci assale la voglia
di remare da soli
controcorrente
nutrirsi d’alghe
ridurre il ritmo
farsi da parte
e con uno sputo spegnere le fiamme.

Poi svelare con calma
alle sirene le distanze
tracciate con il sangue
nelle mappe solitarie.