Donne incontrate nei romanzi. Intervista a Laura Ricci

di Walter Chiereghin
dal n. 50 de Il Ponte rosso

Parliamo con Laura Ricci del suo più recente volume, che stavolta è un libro di saggistica, Sempre altrove fuggendo. Protagoniste di frontiera in Claudio Magris, Orhan Pamuk, Melania G. Mazzucco, pubblicato poche settimane fa dalla casa editrice Vita Activa di Trieste, creata e gestita da sole donne. In esso l’autrice – che, non posso tacerlo, è per me anche una cara amica, nonché apprezzata collaboratrice del Ponte rosso – compie un’analisi concernente i personaggi femminili (lei le chiama “personagge”, ma su questo mi piacerebbe – ben sapendo che non mi risulterà facile – sorvolare) nelle opere dei tre autori indicati nel sottotitolo: rispettivamente Non luogo a procedere, Il museo dell’Innocenza, La stranezza che ho nella testa, e Lei così amata.

Laura, nell’introduzione a questo tuo nuovo libro avverti il lettore di una tua «spiccata propensione per un gentile pacato femminismo della differenza» che informa di sé l’idea stessa che sta alla base delle analisi e delle considerazioni che metti in campo nelle pagine che seguono. Sei stata dunque guidata da un’impostazione ideologica – per quanto gentile e pacata – nella tua lettura dei testi che hai preso in considerazione?

Credo che in ogni cosa che facciamo tutti noi siamo condizionati, o anche guidati, come affermi tu, da un complesso di nostre convinzioni, dalle esperienze che abbiamo in precedenza affrontato, dalla cultura che ci siamo ingegnati a edificare. Premesso ciò, mi pare naturale che nella mia lettura di un testo narrativo la mia attenzione venga particolarmente calamitata, oltre che da quanto avviene, da come lo scrittore o la scrittrice rappresentano le loro figure femminili, sia per verificare se ne comprendo la psicologia e l’azione, la rete di relazioni che le legano agli altri personaggi e al resto dell’ordito narrativo, sia per quello che è ormai, per me, un inevitabile approccio a cui è sottesa, anche quando non si esprime, una lunga formazione, pur se non unica, di stampo femminista.

Meglio togliersi subito il pensiero: tu parli nel tuo libro di “personagge” e mi rendo conto che, a meno di non lanciarmi in spericolate acrobazie linguistiche, mi costringerai ad adoperare a mia volta quel termine. Tra me e te c’è già, da tempo, un garbato contenzioso circa la parola “poetessa”, che tu eviti a favore di una “poeta” al femminile. Perché dunque questa tua ulteriore forzatura lessicale?

Intanto non si tratta di una “mia” forzatura, anche se riconosco che si tratta di un neologismo peraltro invalso ormai da qualche anno, sicuramente dal 2011, quando la definizione fu sancita nel corso di un convegno nazionale della Società Italiana delle Letterate, cui seguì una serie di interventi e la pubblicazione di due libri sull’argomento, L’invenzione delle personagge, curato da Roberta Mazzanti, Silvia Neonato, Bia Sarasini (Iacobelli, Roma 2016) e Le personagge sono voci interiori, a cura di Gisella Modica (Vita Activa, Trieste 2016). Però, scusami: quando parli di impiegati, dici impiegata oppure impiegato femminile? Era stata comunque facile profeta la tua amica Giulia Basso che sul Piccolo, recensendo il mio libro, aveva preconizzato che qualcuno avrebbe storto il naso con disapprovazione per questa parola. Quello che forse non immaginava è che a farlo fossi proprio tu…

Immaginava, immaginava… Passiamo avanti, però. Per il tuo lavoro non hai scelto esclusivamente scrittrici, ma anche, in due casi su tre, scrittori. Si è trattato di una scelta casuale o voluta?

Fondamentalmente la scelta mi è venuta incontro, attraverso la lettura dei recenti romanzi di Magris e Pamuk, in modo quasi fortuito, senza che all’inizio vi fosse da parte mia un preordinato disegno saggistico. È stata, come si dice con una parola recente importata dall’inglese, una serendipità. Perché poi, osservando quanto le loro protagoniste racchiudessero temi fondamentali nel femminismo, come la genealogia femminile, la realizzazione del desiderio, la libertà, dal caso fortuito è nato il disegno, e pensando al disegno ho volutamente scelto, per analogia di temi, il romanzo documentario di Melania G. Mazzucco Lei così amata che risale a diversi anni fa, e che affronta la figura reale di Annemarie Schwarzerbach, per il femminismo una vera icona. È intenzionale anche il registro non accademico che ho scelto, seguendo la concezione woolfiana di pormi dalla parte del common reader, così che il libro risulti più un diario di lettura che un saggio critico secondo gli abituali canoni. In effetti, quando si legge, si compie una ri-creazione del testo, qualcosa di analogo a quello che compie il traduttore nel trasporre i contenuti in un registro linguistico diverso rispetto all’originale. Quanto al genere di chi scrive, mi pare abbastanza irrilevante che la scelta sia caduta su tre esponenti di entrambi i generi, e comunque ho scelto di andare a indagare non solo tra le opere scritte da donne, perché anche in quelle degli scrittori si possono trovare e applicare, come nel libro cerco di dimostrare, punti di vista generalmente e erroneamente attribuiti al cosiddetto “femminile”, quando non addirittura femministi.

Oltre che donne, le personalità che analizzi nei tuoi saggi devono avere, stando al sottotitolo, un secondo requisito: essere cioè “protagoniste di frontiera”. Si tratta di un’ulteriore tua dichiarazione di affetto per la realtà triestina?

Sicuramente, e anche per la realtà di Istanbul, di cui qualche anno fa ho fatto esperienza, ma non soltanto: la frontiera cui faccio riferimento non è da intendersi solo in senso meramente materiale e territoriale; è anche quella del passaggio tra due epoche, tra situazioni sociali o anche personali in momenti di snodo, di transizione, quella interiore delle protagoniste che esamino.

Il primo degli autori che affronti, quasi inevitabilmente conoscendo la tua ammirazione per il suo lavoro, è Claudio Magris, con il suo recente romanzo Non luogo a procedere, che in effetti più di altri suoi libri assume una connotazione schiettamente narrativa, che per di più si confronta con le vicende della Storia e della frontiera. Chi sono le donne che intendi porre in evidenza?

Magris è per me un fondamentale Maestro fin da quando ero una studentessa di lingue e letterature straniere. Le figure che tratteggia in questo suo libro sono donne legate tra loro da un vincolo genealogico, ossia nonna, madre e figlia, rispettivamente Deborah, Sara e Luisa, ciascuna delle quali reca nella sua vita i segni familiari e quelli che la Storia vi ha impresso, nella surreale vicenda di un Museo della guerra per la pace in fase di allestimento, luogo che in qualche modo si offre come spazio per ripercorrere anche le vicende delle tre donne e della città che le ospita, lacerata dal confine, dalla memoria – che si sarebbe preteso di misconoscere – della Risiera di San Sabba. Vi è inoltre la figura di un’altra Luisa, antenata di quella che agisce nel museo, Luisa de Navarrete, donna di colore realmente vissuta nei Caraibi nel XVI secolo, indiziata di stregoneria, che riuscì a sottrarsi all’Inquisizione con l’arma della sua eloquenza, e che per la Luisa contemporanea costituisce la figura femminile che trasmette un esempio di autorevolezza e libertà che nel femminismo viene definita “madre simbolica”.

La seconda parte del tuo libro esplora il romanzo Il museo dell’Innocenza, del turco Orhan Pamuk, Nobel per la Letteratura nel 2006. Per te, che hai conosciuto in diversi viaggi la società turca e hai vissuto per alcuni mesi a Istanbul, una scelta in qualche modo obbligata.

Di Pamuk considero anche La stranezza che ho nella testa e dai due romanzi ricavo una galleria fortemente rappresentativa di personagge, da Füsun, a Sibel, alle tre sorelle Rahya, Samiha e Vedhya, alle più giovani Fatma e Fevziye. Sono donne che vivono all’interno di una società fortemente repressiva e costrittiva nei confronti della condizione femminile, e che sono tuttavia in grado di vivere con pienezza i loro amori e di costruirsi, grazie alla relazione tra donne, progetti di vita che riescono a perseguire. Tranne Füsun, che proprio perché non ha ben chiaro il suo reale desiderio, finisce per diventare kamikaze di se stessa.

Infine, nella parte dedicata alla narrazione di Melania Mazzucco, ti confronti con una figura femminile realmente vissuta e fortemente anticonformista, che ha consumato la sua giovane vita tra le due guerre mondiali.

Sì, Annemarie Schwarzenbach: una figura che mi appare assolutamente attuale, con la sua indipendenza intellettuale e con la vocazione a esplorare i territori, materiali e metaforici, nei quali si è avventurata, con il suo vivere libero e anticonformista che arriva, alla fine della sua breve e agitata vita, a una libertà mistico-filosofica superiore. I complessi rapporti che ebbe con la madre e il sodalizio con i figli di Thomas Mann, Klaus ed Erika, aggiungono motivi d’interesse per l’esperienza umana e letteraria di questa singolare intellettuale, autentica figlia del suo tempo, ma anche precorritrice di epoche a venire.

Tu parli anche del rapporto tra scrittura e vita, tra autore-autrice e personaggio o personaggia che dir si voglia…

Sì, è un altro filone dell’itinerario di lettura del mio libro. È una complicità che chi scrive narrativa ben conosce, tanto che personaggi e personagge immaginati diventano parte profonda della vita di autrici e autori, o a volte provengono dalla loro vita e dal loro mondo reale, pur divenendo altra cosa nell’opera letteraria. Non si sa bene, come diceva Pirandello che insieme a Unamuno cito, se sia l’autore a creare i personaggi o se siano i personaggi ad andare in cerca dell’autore. Una serendipità anche questa. Ma accade anche nell’esperienza della lettura: non abbiamo a volte l’impressione di aver già incontrato i personaggi di un libro, o che quel libro, incontrato proprio al momento giusto, stia spiando e precisando la nostra vita? Che ci stia dando indicazioni proprio nel momento in cui ne avevamo bisogno?

Nella tua produzione hai affrontato diversi generi: poesia, racconto, uno strano romanzo breve, uno strano saggio… Cosa dobbiamo ancora aspettarci?

La poesia sempre, è carsica e corrisponde, per me, a una mistica necessaria della parola. Gli altri generi hanno a che fare con i miei studi e con le mie passioni di lettrice esigente e selettiva, era inevitabile che, dopo aver scritto tante recensioni, scrivessi un sia pur strano saggio letterario. La mia ambizione, e nel saggio a un certo punto quasi lo “minaccio”, è che anch’io prima o poi possa scrivere “qualche strana storia”. Da tempo vorrei scrivere un romanzo, uno solo, ma di quelli che pur non essendo autobiografici raccolgono l’esperienza di una vita intera. Ma per farlo ho bisogno di isolarmi, fronte mare, per qualche anno. Non credo che sia impossibile, e mi piace percepire questa eventualità come un desiderio da realizzare che, in qualche modo, possa allungarmi la vita.

Laura Ricci
Sempre altrove fuggendo
Protagoniste di frontiera in Claudio Magris, Orhan Pamuk, Melania G. Mazzucco
Vita Activa, Trieste 2019
pp. 232, euro 15,00